Da giorni imperversa sul web la discussione riguardante i danni provocati dai bambini che, in spiaggia, giocano con retino e secchiello catturando granchi, gamberetti, piccoli pesci etc. L’appello dell’ENPA contro la cattura di animali marini sulle spiagge ha infatti stimolato un acceso dibattito sul tema ed è stato riportato da molte delle maggiori testate nazionali.

Partiamo subito dal presupposto che a nessuno, men che meno a noi Naturalisti, fa piacere vedere animali agonizzanti in secchielli sotto al sole, e che ogni buon Naturalista sa che in questi casi, quando possibile, dovrebbe intervenire e far capire ai bambini (ed ai loro genitori innanzitutto) quanto sia evitabile la morte assolutamente innecessaria di quelle povere bestiole.

Detto questo, però, da Zoologo e Naturalista di professione – una professione che avevo consapevolmente scelto già dalle scuole elementari – non posso che fare un’ode al retino e all’osservazione diretta della fauna minore, in spiaggia come in altri ambienti.

Sono cresciuto, oltre che esplorando con l’animo del giovane Naturalista ogni ambiente in cui mi trovassi, immergendomi nei testi di autori che hanno segnato il mondo delle Scienze Naturali e della divulgazione scientifica ed ho sempre rivisto me stesso quando questi raccontavano la propria infanzia.

In quella reticella per me è ancora oggi rinchiuso l’incanto della fanciullezza. Meglio se non si tratta di uno strumento impeccabile, con manico di ottone e borsa di garza; anzi, la tradizione vuole che ce lo si prepari da soli, a casa, in dieci minuti (…) Con un simile aggeggio, a nove anni ho catturato le prime dafnie per i miei pesciolini, scoprendo così le piccole meraviglie dello stagno di acqua dolce che immediatamente mi sedusse con il suo fascino. Chi infatti ha contemplato con i propri occhi la bellezza della natura (…) se ha occhi per vedere diverrà inevitabilmente un naturalista”.

Questo scriveva il premio Nobel Konrad Lorenz nel suo celeberrimo libro “L’anello di Re Salomone”, non vi nego che a rileggere, ancora una volta, queste parole mi sono nuovamente emozionato.

Gli stagni brulicavano di vita, e trascorrevo le giornate da solo e nell’acqua: aspettavo con il retino, nascosto in mezzo alle canne, che accadesse qualcosa, che la raganella uscisse a gracidare, che il martin pescatore calasse sullo spinarello (…) Catturavo rane grosse come un pollice ed inseguivo pesciolini (…) Senza saperlo ad undici anni ero diventato un esploratore.”

Questo scrive invece il Naturalista Marc Jeanson (responsabile dell’Erbario del Museo nazionale di storia naturale di Parigi) nel suo libro “il Botanista” quando, nel primo capitolo, racconta di come sia nato il suo viscerale amore per la natura.

Come esempio ho lasciato, volutamente, per ultimo quello che è senza dubbio la mia maggiore fonte d’ispirazione, lo Zoologo Gerald Durrell. Le avventure del giovane Gerald sull’isola di Corfù (magistralmente raccontate in diversi libri di grande successo internazionale, su tutti “La mia famiglia e altri animali”) sono incentrate completamente sulle sue esplorazioni naturalistiche e il retino è protagonista in tante di quelle occasioni che sarebbe stato impossibile sceglierne una da citare.

Questi luminari delle Scienze Naturali e della divulgazione scientifica sarebbero diventati quel che sono stati se a loro fosse stato vietato di usare il retino?

Il tema di come ci si è approcciati al mondo della Zoologia è solitamente centrale quando nasce un’amicizia tra persone che praticano questo tipo di professioni e mi sono trovato negli anni, a diverse latitudini nel mondo, a confrontarmi sulla questione con persone del settore. Se non è una regola generale, e di conseguenza quanto dico non può ovviamente essere considerato statisticamente significativo, è vero che ho sempre notato in un’importante fetta di colleghi, che ritengo dal grande valore, storie di un’infanzia simile trascorsa a catturare ed osservare animali tra spiagge, prati e acquitrini (con buona pace delle nostre pazienti genitrici).

Come molti esperti del settore concordano, probabilmente, con la mia visione, molti altri invece non saranno d’accordo ed avranno tutte le ragioni del caso per essere scettici a riguardo. Trovo il loro scetticismo supportato da posizioni interessanti e, solitamente, ben fondate (anche se lontane dalla mia personale opinione), ciò che trovo poco sopportabile sono gli attacchi alla questione che provengono da persone che di natura non sanno niente (e tanto meno hanno intenzione di sapere), che si stracciano le vesti per un granchietto catturato ma che al contempo se ne fregano altamente delle vere cause (magari spesso legate al loro stile di vita) che portano alla riduzione della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi.

Necessario fare anche un piccolo appunto: se è vero ce la cattura e l’osservazione degli animali dovrebbe essere ridotta al minimo indispensabile, è al contempo vero che gli animali solitamente catturati (piccolo pesci e invertebrati caratteristici delle pozze di marea) sono in realtà specie particolarmente resistenti, abituate a lottare per la sopravvivenza in un ambiente, per molti versi (che comprendono variazione di salinità e temperatura e disturbo legato al moto ondoso) è tra i più estremi delle nostre zone.

Torniamo a me, quello che un tempo era il gracile ragazzino nella foto, il retino è stato (così come per mio fratello, anche lui, guarda caso, Zoologo) il miglior amico per tutte le estati dell’infanzia.

Catturare bavose, gamberetti di scoglio, giovani cefali e granchi nelle pozze di marea è stata un’importantissima parte nel processo che ha fatto maturare in noi la consapevolezza di voler impegnarci, con tutto noi stessi, una volta adulti, nello studio e nella tutela della biodiversità.

Giovanissimi abbiamo cominciato a conoscere le diverse specie di abitanti delle pozze di marea, le cure parentali nei granchi corridori, la capacità di diverse specie di bavosa di resistere fuori dall’acqua per lunghi attimi (quasi fossero perioftalmi mediterranei). Più crescevamo, più cresceva con noi l’amore per quella diversità e più aumentava la consapevolezza del voler loro arrecare il meno disturbo possibile durante le nostre osservazioni da Naturalisti in erba (questo grazie anche all’attenzione e alla sensibilità dei nostri genitori i quali ci hanno sempre spronato a coltivare questa nostra enorme passione).

Più che campagne di un’innecessaria severità, io come molti colleghi, crediamo che sia importante focalizzarsi sull’educazione dei bambini, ed in primis dei genitori, come già aveva suggerito, proprio qualche settimana fa il Naturalista e divulgatore Marco Colombo, in uno dei suoi post su facebook con più interazioni.

Non priviamo i bambini del piacere della scoperta, più che altro incanaliamo nel giusto modo la loro innata curiosità per la natura in modo da avere in futuro adulti che sappiano avere la giusta sensibilità verso le tematiche ambientali.

Detto questo (se ben usato, specifichiamolo ancora una volta!):

LUNGA VITA AL RETINO, COMPAGNO DI MILLE AVVENTURE!

 

Valerio Giovanni Russo, Naturalista e Zoologo

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