Storia di un pino napoletano e dei numerosi abitanti che ha ospitato, tra cui una rara Bigiarella svernante, fin quando non è stato abbattuto.

Il verde urbano interrompe la sequenza di cemento delle nostre città. Spunta, in aiuole, giardinetti, ville comunali o semplici alberature lungo le strade, a contaminare le distese di vetro, ferro e mattoni dei nostri mondi antropizzati. Ci dà ristoro, combattendo l’”isola di calore urbana”, consentendo di sederci all’ombra a leggere un giornale, respirando una boccata d’aria più fresca e ricca di ossigeno e addolcendo il paesaggio cittadino con un tocco naturalistico.

A volte, però, viene visto come un fastidio o un pericolo: resina e foglie che cadono sporcando i nostri gioiellini a due e quattro ruote; rami e alberi che mettono a rischio cose e persone. Spesso le amministrazioni sono impreparate alla gestione del verde urbano e, al minimo rischio paventato, si precipitano ad abbattere alberi o a praticare devastanti capitozzature, per cui vediamo questi tronchi vetusti da cui spuntano ciuffi di improbabili rametti e non più alberi con uno sviluppo armonico di fusto, rami e chioma.

Al verde viene spesso assegnata una funzione architettonica a completamento del progetto urbano: è infatti ordinato, geometrico, colorato e realizzato senza considerazioni di tipo ecologico. Se le specie arboree impiantate siano autoctone o alloctone non è quasi mai considerato un elemento importante.

Invece, il verde urbano costituisce un prezioso rifugio e un’importante fonte di sostentamento per tutte quelle specie di Uccelli che hanno deciso di colonizzare le città o, semplicemente, di utilizzarle come luoghi di sosta durante le migrazioni o ancora come sedi di svernamento. Certamente del verde articolato, con alberi, cespugli e prati, è fondamentale per supportare queste specie, ma, a volte, perfino un solo albero, incassato tra cemento ed asfalto, può essere una piccola ma importante oasi.

Ne è un esempio un Pino domestico a Napoli, quartiere Fuorigrotta, che s’inerpicava verso il cielo tra due palazzi di sette piani. Quest’albero sorgeva lontano da aree verdi importanti, vicino solo altri pini come lui, tra altri palazzi, e una siepe di buganvillee. Eppure, questo pino ne ha viste tante ed ha dato ristoro a molte specie di Uccelli, diventando un piccolo, microscopico ecosistema. Almeno tredici specie hanno frequentato i suoi rami negli ultimi anni, durante le diverse stagioni.

Le sue braccia accoglievano in inverno i Codirossi spazzacamino (Phoenicurus ochruros) e i Luì piccoli (Phylloscopus collybita) saltellavano di ramo in ramo “pettinando” con il becco i suoi aghi per nutrirsi di acari e piccoli insetti, mentre il Pettirosso (Erithacus rubecula) intonava i suoi armonici canti dai rami più esposti.

La sua chioma, inoltre, offriva sosta e ristoro durante i mesi di migrazione a Capinere (Sylvia atricapilla), Sterpazzole (Sylvia communis) e Sterpazzoline (Sylvia cantillans).

Merli (Turdus merula), Passere d’Italia (Passer italiae), Passere mattugie (Passer montanus), Tortore dal collare (Streptopelia decaocto), Colombacci (Columba palumbus) e Piccioni domestici erano invece suoi ospiti fissi durante tutto l’anno. Proprio il Merlo, in primavera ed estate, si esibiva nelle sue svariate sinfonie che allietavano le giornate. Nell’estate del 2020, questo pino ha visto crescere almeno due nidiate di Passera d’Italia e Merlo.

Oltre a queste specie, normali frequentatrici delle aree verdi cittadine, questo pino condannato alla solitudine da asfalto e cemento è stata la scenografia di una delle più interessanti osservazioni urbane degli ultimi anni in Campania!

Nel gennaio 2019, infatti, sostò per quattro giorni una Bigiarella (Sylvia curruca), un silvide che in Italia nidifica sull’arco alpino per poi svernare in Africa. Si tratta dell’unica segnalazione invernale all’interno del territorio regionale di tale specie, considerata migratrice irregolare in Campania, e una delle poche di Bigiarella svernante in tutta Italia!

Già, su un solo pino che cresceva tra due palazzi avveniva tutto questo: questo singolo, albero solitario svolgeva un suo silenzioso ma importante ruolo ecologico. Ma ora questo pino non esiste più: è stato tagliato. Era malato e pericoloso, dicono alcuni tecnici. Resta il fatto che uno dopo l’altro cadono tutti gli alberi più antichi e, nonostante le promesse, non vengono quasi mai rimpiazzati, impoverendo la biodiversità urbana.

Ora ci saranno sicuramente meno foglie e meno resina per terra e i balconi non avranno più la visuale ostruita dalla sua magnifica chioma. Ma ora non si potrà più ascoltare il canto del Pettirosso e del Merlo stando affacciati alla finestra e, soprattutto, la fauna urbana, eroica nella sua lotta per la sopravvivenza, avrà un albero in meno su cui contare. È probabilmente tempo di ripensare il verde urbano e non vederlo più come un arredo o un problema, ma come un vero e proprio corridoio ecologico da preservare, rafforzare, estendere.

Articolo e foto di Marco D’Errico

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